Ricominciamo?

Inizio questa ultima settimana di lavoro con pressione ed energia sotto le scarpe (e un fastidioso mal di pancia). Davvero, non ce la faccio più, sono al limite, ad un limite di saturazione/batterie scariche che davvero pensavo di non raggiungere mai.

A 10 e poco più mesi dall’arrivo di Vittoria, posso tirare un piccolo bilancio e dire che ce la sto facendo ancora un po’ poco e sono sempre più dell’idea che il primo anno delle mamme – ovviamente per chi vuole – dovrebbe essere un periodo sacro in cui potersi dedicare solo a riprendersi da una delle esperienze più devastanti (nel bene e nel male) di una donna e da un compito difficilissimo che è quello di iniziare a crescere un piccolissimo essere umano, il cui imprinting, ne sono sicura, resterà nel suo modo di essere al mondo, anche verso gli altri, per sempre.
Ci sono donne che ce la fanno di più o meglio o tengono più botta (o fingono meglio)… o perché sono più giovani, o più resistenti, o più motivate o resilienti… altre che fanno più fatica. I motivi possono essere ennemila, da una gravidanza difficile o vissuta senza risparmiarsi un secondo (o lavorando fino al giorno prima) a un parto e post parto lunghi e complicati, ad allattamento o trauma da non allattamento, ormoni, notti insonni, solitudini, ansia, depressione… Francamente, rientrare a lavoro dopo 4 mesi è F O L L I A pura. Ma anche dopo 6.

Ora, dopo 10 mesi di cui gli ultimi due più tranquilli, posso dire che pian piano ci si riprende, va meglio, almeno fino al prossimo “scatto di crescita”. Penso a quanto sarei meno in riserva di tutto se in questi ultimi 6, 7 mesi non avessi dovuto di nuovo rioccuparmi di tutto + V. , l’unica cosa di cui in fondo avrei voluto occuparmi di più.

Io penso che un anno sia sacrosanto, per le mamme o i papà, per chi ne ha voglia e bisogno insomma. Tanti/e a lavoro si ricaricano, e beati loro. A me quest’anno il lavoro mi ha prosciugata, quel poco di energia che avevo ancora in circolo e mi ha poi tolto la forza per il poco resto che avrei voluto dedicare anche a me. Tipo un pò di palestra, per non continuare a vedere la pancia calata? O cucinare qualcosa di buono che mi aiutasse a tornare in forma e conseguentemente aiutarmi con l’umore?

Io non ce l’ho fatta, non del tutto. Così ho alzato una bandiera. Alt! Mi sono detta e ho detto io tutto non lo riesco più a fare. E forse non voglio più. Sembra una resa, forse un po’ lo è ma mi piace vederlo più come un punto a capo. La fine di un bel capitolo e l’inizio di una nuova storia. O, forse, più un “dove eravamo rimasti”. E un atto più coraggioso, forse, che un arrendersi.

Questa sarà quindi l’ultima mia settimana da “dipendente”, da settembre, all’alba dei miei 40 anni, proverò a incanalare tutte le energie rimaste nei progetti a me più cari: mia figlia e la mia attività.
Se avessi avuto un anno per riprendermi e riordinare tutte le idee e le forze, avrei preso questa decisione? Sinceramente non saprei… davvero.
Ma, ora, sono contenta di averla presa.

Da settembre, stavolta si (ri)comincia davvero.

Una lunga estate crudele

In omaggio ad una delle simpatiche serie che amo leggere soprattutto in questa stagione, questa estate sembra non finire mai e ogni giorno, ogni grado che si innalza nel termometro, è un macigno di portare avanti manco fossi una Sisifo dei giorni nostri.
Forse ho rimosso i mesi della gravidanza, e non credo, ma quest’anno il caldo è davvero opprimente e rende tutto ancora più faticoso. Sarà tutto il nuovo anno in tre sulle spalle, ma quest’anno le vacanze, posticipate di una settimana, sembrano non arrivare mai. Ancora 12 lunghissimi giorni di corse ad ostacoli tra un ultimo brief e l’altro, ad anticipare l’anticipabile, una folle corsa a chi può lavarsene prima le mani.

La piccola Vittoria non è ancora mai andata al male e ovviamente, come tutte le madri da manuale, mi sento in colpa. Non tanto perché, aimè, a luglio oramai si lavora sempre e qui fa sempre più caldo ed è troppo piccola ancora per lasciarla un mese intero sola al mare con i nonni, ma perché forse nel fine settimana dovrei fare uno sforzo in più ma il caldo, di cui sopra, il traffico, il problema di dividere case piccole con mille parenti, ci hanno piazzato in pianta stabile a Roma. E quando potevamo partire, come da manuale, è stata male lei.

Sarà l’ennesima estate in cui fallirò la prova costume, più che mai e nonostante una folle ultima corsa alla perdita di qualche chilo nutrendomi di orride barrette pesoforma a pranzo, per poi comunque sfondarmi di aperitivi la sera. Perché in questa crudeltà quest’anno ci concediamo più piccole uscite preserali, principalmente nel quartiere, per evitare di accendere fornelli e per la poca pochissima voglia di cucinare.

È l’estate in cui sono più cadaverica dell’inverno, perché sono riuscita ad andare in piscina sì e no due volte e infatti la tentazione di ricorrere alle lampade, anche per non ustionarmi in quei soliti 4-5 giorni di mare che farò, è tanta.

È l’estate in cui ricomincerò a fumare… perché sono ansiosa, stanca, annoiata, nervosa, preoccupata e tentata e ho talmente tante cose da dover fare bene che quando è così una cazzata la devo fare sempre. Vedremo.

È l’estate senza serie tv e maratone, perché sono talmente stanca la sera che appena Vic si addormenta, quasi seguo a ruota ma è anche l’estate in cui ho ripreso a sentire un sacco di musica.

È l’estate in cui compirò 40 anni, aimè anche qui, e si sapeva e tanto non cambia niente perché oramai mi sento vecchia dentro ed è tutto in declino. Sic.

È l’estate in cui riabbraccerò l’est e riprenderò in mano una macchinetta fotografica.

È l’estate che anticipa un grande cambiamento, drastico, spaventoso ma bellissimo e che forse tutto sommato non vedo l’ora che finisca proprio per ricominciare (da dove avevo lasciato, in fondo…).

Ma soprattutto è la prima estate con mia figlia, ed è davvero crudele che, al 24 luglio, ancora non sia riuscita a godermela fino in fondo, in vacanza e senza pensieri, solo con lei.

Just a little patience

Pazienza. Sii paziente Anais è il mantra che sto cercando di ripetermi da circa 9 mesi (ma forse anche 10/11 se contiamo gli ultimi mesi di gravidanza con 40 gradi a Roma), praticamente ogni giorno, ogni ora, ogni momento, purtroppo non sempre con i risultati sperati.

Sii paziente Anais. Me lo ripeto ogni volta che salgo sulla bilancia e quei chili in più restano sempre appesi. Nonostante cerchi di farci attenzione, nonostante non sia sta gran forchetta, nonostante non mi fermi mai e ho l’impressione che dovrei starne 5 sotto, di chili, quelli sono lì. Sii paziente mi dico, nonostante amiche che hanno partorito anche dopo siano già belle longilinee e anche più magre di prima.

Sii paziente Anais che se ti impegni riesci, mi ripeto ogni volta che invece penso di mollare e allora mangio e bevo come non ci fosse un domani. Sii paziente e fregatene allora, perché arriverà il momento che sentirai da sola quello che sarà meglio per te.

Sii paziente, ogni volta che provo a indossare qualche abito o pantalone nell’armadio, anche quelli che un tempo non potevo più mettere perché fin troppo larghi e invece devo ripiegare su quelle poche 4 cose in croce che mi vanno, tra cui 3 dell’era premaman.

Sii paziente Anais, ogni volta che vedi amiche e conoscenti già belle abbronzate e dai fisici torniti dalla palestra, palestra che tu stai pagano (x te e per tuo marito…) da 3 mesi avendoci messo piede 3 volte.

Sii paziente Anais quando ti fanno inviti improponibili che devi declinare cerando di essere gentile e non far notare “ma come ti viene in mente”.

Sii paziente Anais quando arrivi a fine settimana e vorresti sprofondare 24 ore nel letto ma i venerdì stanno tornando ad essere più affollati di prima e non cela fai ma devi farcela. Sii paziente, prima o poi ti abituerai a lavorare il triplo, datti tempo.

Sii paziente quando devi sentire mille galli e cornacchie che cantano e vorresti solo silenzio. Sii paziente prima di alzare la voce, prima di sbattere porte e telefoni.

Sii paziente quando ti fai dei programmi che praticamente ogni giorno vengono ribaltati. Quando conti di poter uscire ad un’ora ma tutte le riunioni del mondo sono sempre convocate a quell’ora, soprattutto quando hai dormito solo 4 ore o sei sveglia dalle 4 del mattino.

Sii paziente quando non sai né vuoi rinunciare a  nulla, prima o poi capirai quale zavorra buttare fuori dalla barca.

Sii paziente Anais, quando sei stanchissima, hai la testa che scoppia, il sonno che ti chiude gli occhi ma tua figlia ha deciso che quella sera non le va di dormire.  Sii paziente sempre, perché lo sai, hai imparato che se non sei paziente poi è peggio e i 5 minuti per riaddormentarsi diventeranno 10, 20, 2 ore.

Sii paziente quando il tuo corpo ancora non lo riconosci, quando a 9 mesi di distanza le ferite si riaprono, i seni sono ancora pieni, tutto fa ancora troppo male e niente dà l’idea che si possa tornare a un seppur minimo equilibrio ormonale. Sii paziente Anais, ci vuole almeno un anno dai, ma un anno è tra due mesi, e vabbè.

Sii paziente anziché incazzarti quanto ti senti di essere trattata in maniera diversa da quando sei mamma oppure ti trattano allo stesso modo e non si rendono conto che però sei mamma. Insomma non sai neanche te come vuoi che ti trattino, sii paziente, lo capirai. O forse lo capiranno.

Sii paziente perché il mondo continua a girare anche se ti senti impalata o la tua testa e i tuoi pensieri ora girano solo intorno ad una persona o un argomento. Sii paziente, prima o poi tornerai a parlare anche di tante altre cazzate.

Sii paziente Anais, perché se di tutto quello che hai fatto sino ad ora non ti frega più nulla, ti senti continuamente fuori posto, disinteressata e poco interessante. Vedrai che è un momento, ti abituerai a questo tuo stato di trasparenza a cui probabilmente sono oramai abituate tutte le mamme del mondo.

Sii paziente Anais che prima o poi tutto tornerà a posto oppure tu riuscirai a trovare il tuo posto in tutto questo nuovo disordine ordinato.

Sii paziente Anais ma soprattutto sii paziente con Vittoria, che è l’unica per cui ne vale la pena.

Cccccchanges

Quando ti capita di vivere grandi cambiamenti nella vita, un cambio lavoro, cambio città, cambio compagno o, come nel mio caso, quasi un cambio “status”, ti rendi conto come a corredo, cambino anche tutte le piccole cose che ruotano intorno a te o a quell’evento e anche equilibri che pensavi consolidati da anni, improvvisamente iniziano a vacillare.

E lì arriva la sfida che sta a te accettare o meno o decidere come viverla. Sei una persona a cui i cambiamenti piacciono e vivi ogni diversità come nuova opportunità oppure fai fatica ad abituarti?
Io onestamente ancora non capisco in quale schiera collocarmi. In passato ad esempio, quando ho cambiato drasticamente lavoro devo ammettere che non ho avuto grandissime difficoltà a prendere questa decisione ma abituarmi al nuovo lavoro nonché al nuovo ambiente non è stato subito facile. Ecco forse io ho più problemi con le persone rispetto alla pratica di una attività, per quanto conoscere bene un lavoro o una professione può essere noioso ma anche molto rassicurante.
Pensiamo a come la fotografia digitale abbia stravolto tutto il mondo della fotografia, internet il mondo della tecnologia digitale, il cellulare il modo di stare in contatto, sti male/benedetti social il mondo della comunicazione (e delle relazioni).

Ogni piccolo ecosistema ha le sue regole, scritte o non scritte e ogni cambiamento provoca piccole e grandi scosse che a volte non sono neanche percepite, in altri casi necessitano giorni, mesi o anni per assestamenti. Talvolta non ci si riesce più ad assestare, crolla un po’ tutto allora forse vale più la pena buttare giù tutto che provare a reggere con precarie stampelle.

Il cambiamento è una leva fondamentale nella vita altrimenti non ci sarebbe evoluzione e crescita per nessuno. Ma io spesso faccio davvero fatica e in questo mi faccio un po’ tenerezza. Ci sono “cose”, abitudini, luoghi, rituali, comportamenti a cui mi affeziono o aggrappo con forza e vederli doverli cambiare mi fa destabilizza, a volte così tanto che non mi riprendo più, o molto difficilmente.

Ora è uno di quei momenti in cui nella mia vita stanno cambiando un sacco di cose. Molte già, altre lo staranno per fare. L’arrivo di un figlio, lo so sono banale, ma si porta dietro una valanga di cambiamenti che a mio avviso sono troppi anche per chi è abituato, figurarsi per una come me.

Cambi tu, il tuo corpo, i tuoi bisogni, i bioritmi, le priorità. Cambia la vita di coppia, la vita nelle famiglie coinvolte, i rapporti con gli amici, con i colleghi, con il lavoro. Ti sembra di esserti allontanata solo per pochi mesi eppure sono sufficienti per far sì che tutto un micro universo attorno a te cambi e tu, già provata dal particolare momento storico che stai vivendo, dalla stanchezza, dal sonno, dal sentirsi diversa, arranchi a stare dietro a tutto.  A volte ci vuole una vita per cambiare tutto, e forse non basta neanche quella, a volte pochi mesi e niente sarà più come prima. Tu non sarai più come prima.
All’improvviso sembri quasi trasparente per alcune cose, troppo ingombrante per altre, o come ti muovi, ti muovi male.
Tutto sta a capire se va bene così.

La forza della fotografia

Ieri abbiamo organizzato una serata con un fotografo bravissimo che ha presentato un progetto sull’autismo. O meglio, sulla storia di una famiglia, di due genitori che, di fronte ad una notizia che scuoterebbe e annienterebbe qualsiasi genitore, si sono rimboccati le maniche e hanno creato un’associazione che potesse non solo aiutare i loro figli ma tante altre famiglie, per non lasciarle sole.

Sarà banale, lo so, ma da quando sono mamma le storie che riguardano madri, padri e bambini mi toccano più in profondità e non nego che, durante la proiezione del documentario, ho a stento trattenuto le lacrime. Ho rivisto sogni, gioie e pensieri comuni a tutte le coppie che scoprono di aspettare un figlio e si creano aspettative su quello che sarà d’ora in poi la loro nuova famiglia. Aspettative e desideri infranti quando Vincenzo e Antonella hanno iniziato a rendersi conto che qualcosa non andasse, che c’era qualcosa di strano, sensazioni infallibili che solo un genitore può avere.

“Una mamma per un bambino è tutto, non era possibile che i miei figli non provassero per nulla,né un sorriso, né uno slancio di affetto”. Credo che vedere una mamma privata del sorriso del proprio figlio sia una cosa che spezza il cuore per sempre. E come si fa a ricomporlo?

Con l’amore, un amore e una forza sconfinata e cho visto in questi genitori che, da soli, hanno imparato a comunicare in una maniera tutta loro ai due figli, a gioire anche dei non sorrisi, a riconoscere in uno sguardo, una mossa, un gesto un miliardo di significati che nessuna parola potrebbe raccontare.

Una storia che davvero mi ha toccata, al di là della fotografia, che anche questa volta si conferma il mezzo attraverso cui venire a conoscenza di storie e persone meravigliose che diversamente non avrei mai conosciuto.

Di ritorni, rimpianti e nostalgie

È un periodo frenetico e carico di cose da fare. A lavoro, salvo che esco qualche ora prima, sono tornata a pieno ritmo… diversi progetti in corso e anzi, dovendo lavorare meno ore, praticamente non mi fermo mai. Il che è meglio perché ho trascorso i primi mesi di rientro piuttosto scarica e le giornate non passavano mai e mi ritrovavo a pensare continuamente a mia figlia e a guardare le foto sulla gallery del cellulare.

Sta finendo la stagione dell’associazione, una stagione strana perché credo sia stata la prima che fondamentalmente ho seguito totalmente a distanza. Staccando del tutto praticamente mai, ma fisicamente sono rientrata per la prima volta ad un evento qualche settimana scorsa ed era quasi un anno.

Mi manca tantissimo stare lì più spesso. Credo sia davvero la mia seconda casa, uno dei posti in cui mi sento più libera e a mio agio in assoluto, e sentirmici quasi un ospite mi fa un effetto strano. Non conosco praticamente nessuno studente quest’anno, anche se già da prima era sempre più difficile poterci essere di più. Di fatto, mi ritrovo a fare per il wsp le stesse cose che faccio per i clienti di agenzia: la comunicazione.
Mentre se chiudo gli occhi e potessi esprimere un desiderio… beh io vorrei stare sempre lì. Anche se cè puzza, se c’è muffa, se è piccolo, se è scomodo e il vino non è un gran che. Se dovessi scrivere un libro anzi, in tutti i libri che non ho mai scritto ma ho pensato, la mia protagonista avrebbe un posto così.
Mi manca fare foto, anche se quasi meno della vita lì. Forse perché nella fotografia è tanto che non ritrovo più quella leggerezza di un tempo. Perché quando finisci in alcuni giri devi prendere tutto sul serio quasi per forza e si rovina un po’ tutto.

Però era bello fotografare, tanto, sempre, fare quelle foto lì, quelle foto mie.
Tirando un pò le somme, quando ti ritrovi ad avere così poco tempo per te stessa, mi chiedo cosa mi manchi di più di quel mondo lì, quel mondo da cui tutto poi nella mia vita è cambiato per sempre. Si può dire che è dalla fotografia che sono partita per diventare poi mamma, visto che è in questo mondo che ho conosciuto mio marito.

Vedere persone vicine che vanno avanti, che cela fanno, che hanno fatto una scelta una volta per tutte o che riescono semplicemente a conciliare di più le cose, mi punge un pò. Mi chiedo cosa sia mancato in me per avere la stessa… determinazione? capacità? tigna? fortuna? soldi? fiducia in me stessa… o in quello che stavo facendo?

Non lo so, è  tutto un rimettere le carte in tavola questo periodo, le mischio e le rimischio ma non riesco mai a chiudere una partita.

E poi però c’è l’asso.

Cercasi disperatamente PSS

Ma, esattamente, come si riesce ad avere il pelo sullo stomaco?
Seriamente, qualcuno di voi sa spiegarmelo? Si compra da qualche parte, a mo’ di piantina e poi giorno dopo giorno lo si alimenta, lo si annaffia per farlo crescere bene, magari con una rasatina ogni tanto per farlo poi ricrescere ancora più forte e vigoroso?

Oppure c’è qualcuno che può prestarmi un po’ del suo? O sapete dirmi, se tutti noi ne siamo geneticamente un po’ dotati, come riuscire a ritirarlo fuori?
Non so neanche, a dire il vero, se sia proprio il pelo sullo stomaco quello che mi servirebbe in questo periodo, per cercare di campare un po’ meglio.

Pazienza e pelo sullo stomaco (e i capelli lunghi) sono quanto di più desidererei possedere in questo momento.

È il pelo sullo stomaco quella cosa che ti aiuta a restare indifferenti di fronte a palesi ingiustizie, quando qualcuno ti strapazza, ti offende o palesemente sbaglia nei tuoi confronti?
È il pelo sullo stomaco quella cosa che ti aiuta a restare indifferenti rispetto a critiche fondate o meno, rispetto a chi trova sempre il modo di ferirti, con una battuta, uno sguardo, una parola, una frase, un gesto.
È il pelo sullo stomaco quella cosa che ti fa essere indifferente rispetto a chi ti tratta con indifferenza o sufficienza?

Che ti difende dal rimanerci male sempre, spesso, anche se a risponderti male è la commessa che neanche conosci, che ti difende dal sentirsi sempre esposta e vulnerabile come una ferita aperta che sanguina e che andrebbe trattata con delicatezza e non sfregiata ancora.

È il pelo sullo stomaco che ti aiuta ad essere più forte, coraggiosa, orgogliosa, fiera e un po’ stronza e a non porti sempre come un chiwawa tremolante che abbaia perennemente ma non morde mai?

Dove si compra sto famoso pelo sullo stomaco? Pago bene.

Loading mum

Un altro weekend casalingo, pioggia in sottofondo, tappeti che crescono, giochi e cuscini sparsi un po’ ovunque, TV fissa su top crime (finché si può) in attesa della nuova maratona Senza traccia, Holga che ogni tanto abbaia alle ombre e ci fa prendere colpi a tutti.

Nelle due ore di pausa che mia figlia mi ha concesso, vero regalo per questa prima festa della mamma, si susseguono i pensieri e nuove canzoni da una tracklist Indie Folk Spotify.

Domani ricomincierà un’altra settimana e il nervosismo (da denti?) di questi giorni lascia presagire che sarà dura. Che non è neanche più tanto la stanchezza fisica, infinita, e il sonno… è la stanchezza di continuare a reiterare gli stessi errori, le stesse fobie, le stesse scelte sbagliate.

L’idea ultimamente di sentirsi sempre fuori posto o nel posto sbagliato, di perdere tempo prezioso che non tornerà più.

Sto perdendo un sacco di tempo, già ne ho perso e sprecato tanto e alla soglia dei 40 anni, pensa un po’, mi sono stufata e voglio tornare bambina.

Guardo la mia bambina, con cui già sto sbagliando ogni giorno che passa, e penso che voglio essere una persona diversa anche per lei. Voglio insegnarle a saper prendere decisioni, che a me non lo hanno insegnato proprio bene.

Voglio condividere con lei il coraggio che porta con sé una sensazione bellissima, quella di potersi sentire libere. Voglio che si senta libera di poter fare ed essere tutto ciò che vuole. E voglio darle il buon esempio.

Ancora un po’ di pazienza, ma ci sto arrivando.

Angelo delle ragazze fortissime che accolgono le sfide con coraggio e della fortuna che sorride a chi ha voglia di tentare, scoprire ed amare

Nessuno mi può giudicare, soprattutto tu

Oggi voglio parlarvi di un fenomeno molto diffuso e piacevole come una verruca ad agosto: i consiglieri molesti. Categorie molto facile da incontrare già nella vita di tutti i giorni, ma che pare dare il meglio di sé nei confronti delle neo mamme.

Se poi si tratta di neo mamme inesperte, insicure è particolarmente influenzabili, tipo la sottoscritta, gli effetti possono essere più devastanti di un pedicello ripetutamente spremuto male.

Badate bene che non parlo di consigli in generale, magari quelli più pratici di cui abbiamo fortemente bisogno, ma di quelle affermazioni-verità, sillogismi inconfutabili, dall’alto dell’esperienza di mamma a volte anche di pochi mesi, che instillano in noi, giorno dopo giorno, notte insonne dopo notte insonne, il dubbio di compiere errori nefasti e irreparabili.

Uno su tutti? Non far dormire il piccolo nel lettone o non farlo addormentare in braccio, pena la condanna ad avercelo nel letto o attaccato alla gonnella fino a 30 anni. Fantastico quando poi queste affermazioni sono fatte dai papà ma loro è più facili ignorarli. Ma le mamme che lo dicono, che per noi mamme sono le detentrici assolute del sapere, beh loro feriscono sempre un po’.

Il bello poi è che queste affermazioni provengono da chi ha avuto bambini che da subito hanno imparato a dormire da soli – pertanto mi chiedo perché debbano parlare per non esperienza diretta, visto che il figlio con loro non ha dormito mai – o che hanno avuto la fortuna di avere bambini che da subito hanno iniziato a dormire normalmente, anche 7/8 ore di fila e quindi non hanno idea di cosa voglia dire non dormire affatto notti dopo notti o svegliarsi ripetutamente senza riuscire a riposare mai.

Ci sono poi giorni in cui tutto sembra andare storto, ogni cosa un pianto… dal vestirsi al lavarsi al mangiare, figurarsi al dormire o all’uscire, che sentirsi anche dire che poi verrà di peggio, non aiuta. Che sentirsi dire che dovresti fare in modo diverso o migliore, non aiuta. Che espressioni o sghignazzi o sospiri o frasi tipo benvenuta nel club, non aiutano.

Aiuterebbero abbracci, risate, bugie e bicchieri di vino come una volta e meno giudizi, velati o meno.

 

1 maggio, su coraggio

Io al concertone del 1 maggio non sono mai andata. L’idea di starmene strizzata tra slogan vetusti, bottiglie di piscio e una marea di ragazzetti sudati, ubriachi di vino scadente, che della merda del lavoro non ne hanno ancora la minima idea, sinceramente non mi ha mai attratto.

Ieri mi sono collegata un attimo su Rai 3 e ho visto a condurre Ambra con un giovine cantante mai visto né sentito. Ho cambiato.

Poi ho rimesso e c’era il mio amato Noel Gallagher, cacchio ho beccato solo 2 canzoni e mezzo. Ho ricambiato.

Poi ho rimesso e c’era un tizio assurdo vestito male e di rosso, con i dread ossigenati che cantava qualcosa di davvero brutto. Ho spento.

No, il concertone del 1 maggio non fa per me. Neanche il lavoro a dire il vero, peccato che non sia così facile spegnere e cambiare, se non impossibile.

Buona festa del lavoro quando davvero ci sarebbe ben poco da festeggiare in questa merda che è diventata il mondo del lavoro.