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Diario berlinese

Eccomi di rientro da una tre giorni mordi&fuggi in terra d’Allemagna. Che dire… ero stata a Berlino nel lontano 2005. Ebbi la fortuna (e l’intelligenza) di starci almeno 8 giorni e girarmela in lungo e in largo perché Berlino, per conoscerla un pochino di più e soprattutto al di fuori del circuito turistico, merita assolutamente di più di 3 giorni.
I quartieri più giovani e alla moda, la Berlino multietnica, la Berlino storica, artistica, nei suo tantissimi e stupendi musei, negli angoli che ti ricordano una ferita ancora aperta.

Siamo state molto fortunate con il tempo, sebbene il freddo siamo riuscite a non beccare pioggia, nonostante le previsioni fossero tutte contro di noi.
Viaggiare è sempre bellissimo, ti permette di staccare dalla vita di tutti i giorni e confrontarti con altre realtà e anche deprimerti per il modo barbaro e bieco in cui viene trattato il nostro bellissimo paese che pure non avrebbe nulla da invidiare agli altri, anzi.

Ma vedere la cura per la città (poca sporcizia, netturbini un po’ ovunque e a tutte le ore, birre lasciate di notte sparite immediatamente al mattino), l’efficienza (metro aperta tutta la notte, frequenza altissima, rete super capillare) e la facilità con cui è possibile vivere, è davvero frustrante, specie per noi romani.

Ho rivisto il mio vecchio amico Vincenzo, con cui iniziammo a fare i primi incontri dell’Associazione al suo locale romano, che oramai da 3 anni insieme al socio, si è trasferito e ha aperto Oblomov in una stradina di Kreuzberg. Lo abbiamo raggiunto con 20 minuti di metro all’una di notte, e senza paure siamo ritornate sempre in metro, tra milioni di persone e netturbini, alle 3 di notte.
La vita è più facile lì, è così. Vincenzo spera di tornare in Italia prima o poi perché come tutti noi romani, ama la sua città, il suo sole, il suo caldo, e appena può torna. Ma 500 euro di licenza, 400 euro di affitto per una bella casetta, zero auto, zero abbonamento (nonostante tutto funzioni!), bici e la possibilità di godersi, nonostante tutti i sacrifici, un’attività propria, credo siano insostituibili al momento.

Il suo locale fumoso (sì aimè in molti locali ancora si fuma molto) alle 2 di notte ancora pullulava di giovani, molti italiani che a loro volta lavorano o hanno locali nelle vicinanze. Del resto, Berlino è stracolma di locali italiani, anche in modo imbarazzante. E gli italiani non li trovi a fare i camerieri da Starbucks, Subway o altre catene… molti sembrerebbero avercela fatta davvero. Abbiamo avuto anche l’occasione di conoscere, in modo bizzarro e in un locale molto carino, un architetto italiano che oramai vive lì da 30 anni e ha la sua attività… forse traffichino, chissà.

Ma a parte questo, a me piace troppo l’atmosfera berlinese che sì, forse è un po’ fredda, un po’ spigolosa e malinconica… e mi ricorda appunto qualcuno. I suoi skyline a perdita d’occhio, che incrociano ferraglie, rimasugli industriali, monumenti e palazzoni stile soviet. Le stazioni immense, binari su binari a perdita d’occhio. Angoli ognuno diverso tra loro e la potenzialità fotografica è immensa.
Per non parlare del fervore culturale. Cavolo ho visto una mostra di Stephen Shore che penso sia la più bella e meglio allestita mai vista. E a soli 10 euro. E la fondazione Helmut Newton? Ma anche realtà minori, sparse per la città, con piccole e grandi gallerie di artisti molto Parigi style.

Spero davvero di poterci tornare al più presto, e non tra 10 anni, e magari chissà, fare una mia mostra all’Oblomov come i vecchi tempi.
Non so se mi trasferirei a vivere a Berlino, ma invidio tanto tutti quelli che vivono la vita in modo meno statico e cambiano città e case e lavori e persone. Perché il cambiamento è davvero il sale della vita, e dopo ogni viaggio tornare alla vita di sempre, bella e fortunata, per carità, ma sempre la stessa, un po’ avvilisce.

 

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Diario portoghese

Eccomi fresca fresca (oddio, con il volo alle 6 di mattina si fa per dire…) di rientro da questo breve e intenso viaggetto in Portugal, in particolare Lisbona, Obidos e Castelo de Vide, nell’Alentejo. As usual, per seguire le celebrazioni della Pasqua ma anche per tornare in una delle città europee più belle.
A Lisbona ero stata ma fin troppo tempo fa: in gita scolastica, per cui parliamo di ere più che anni fa. Ricordavo poco, solo le cose principali e che mi era piaciuta molto.
Confermo. Lisbona è una capitale dalle mille facce ma su tutte prevale un lato malinconico e decadente che la rende così affascinante.
L’alternarsi di facciate dismesse e semi abbandonate allo scintillio delle azulejos, ai palazzi più belli e a quelli patrimonio municipal a cui stanno rifacendo trucco e parrucco, alla grande.
I suoi continui sali e scendi, il ticchettio che fanno le suole sul lastricato adamantino, che riecheggia tra un vicolo e l’altro. Gli anfratti, le porticine colorate, gli archi, i mirador e le scalinate alla Montmartre, che appunto non hanno nulla da invidiare alla capitale francese.
Il centro squadrato, che alterna piccole piazze a piazzoni gremiti di gente e locali, ma senza mai chiasso frastornante.
Le pastelarie che sbucano un po’ ovunque, e anche le più infime offrono comunque pastel alla crema da vero orgasmo per i golosi di dolci come me. E poi i vini portoghesi, una vera scoperta.
Lisbona è una di quelle città che ti sembra bella e comoda e facile da vivere. Più  a misura d’uomo delle grandi e roboanti metropoli, turistica sì ma in modo più discreto che altrove.
E poi il blu del cielo, che incontro le rive del rio tejo, che è un fiume ma che fa pensare subito all’Oceano immenso, complice quella brezza che sale dall’acqua e scompiglia i pensieri.

Anche l’entroterra è molto suggestivo, roccioso, per lo più pianeggiante (almeno dove sono andata io) con dolci colline verdi e paesini dalle casette in calce e i bordi colorati, che mi hanno ricordato molto Cuba. Obidos è stata una vera piacevole sorpresa, a partire dalla casa particular della signora Ana dove abbiamo dormito.
Castelo de Vide e Marvao purtroppo abbiamo potuto vederle solo sotto una coltre fittissima di nebbia, comunque molto suggestiva, e pioggerellina battente.
Le processioni pasquali che siamo riusciti a seguire sono state fotograficamente un po’ deludenti perché molto “semplici”, e tra auto, pali, vestiti e giacconi dai colori improbabili, dubito uscirà fuori qualcosa. Anche se la processione notturna del venerdì santo ad Obidos è stata molto suggestiva, ma mi aspettavo qualcosa di più caratteristico.
Diciamo che questa alla fine è stata una vera e proprio mini vacanzetta, farcita di bellissimi momenti e ricordi (e ricordini), alberghi bellissimi e accoglienti, colazioni ricche, sapore di caffè bollente, jamon serrano, tranvetti colorati e tante Holghine da turista.
Ci voleva questo break dopo un gennaio e un febbraio davvero stressanti.
Credo di aver preso un po’ di peso, fosse solo per i kg di pane (e olive) che hanno sopperito 5 mesi di totale assenza. E ora ci sono tutti i rimasugli pasquali e gli ottimi biscotti che siamo riusciti a portarci in valigia, insieme ad una bottiglia di Porto invecchiato da 10 anni e la mitica gingjnha, il liquoretto tipico alle amarene (bleah!).

 

Spero di tornare presto in Portogallo e scoprirne altre città e cittadine perché è un Paese davvero affascinante oltre che accogliente. A mio parere molto più della Spagna, ma ammetto di non avere particolare simpatia per i cugini rossoro.
Chissà, magari proprio il prossimo anno per la Pasqua di Braga.

Intanto ecco una mia piccola Top Ten:

  1. Pastel de Nata
    Davvero il topo queste mini tortine di pasta sfoglia con un cuore di crema caldo e il retrogusto speziato.
  2. I sali scendi e i vicoletti dell’Alfama
    Da perdersi per ore e ore a girovagare tra porte colorate, odore di bucato, taverne e Fado.
  3. I vini portoghesi
    Davvero una scoperta, da sorseggiare con pane e olive e marmellate, in calici colmi visto che i portoghesi sono molto generosi con le quantità.
  4. Il mercato della Ribera
    Un ottimo esempio di riqualificazione di vecchi mercati, senza snaturarli. Un coacervo di sapori e odori per tutti i gusti, ottimo per un pranzo diverso dal circuito super turistico.
  5. Un aperitivo lungo i Doca di Alcantara
    Possibilmente in orario tramonto, vista porto.
  6. Le case dai profili blu e oro di Obidos
    Anche qui vicoletti acciottolati tra cui perdersi piacevolmente.
  7. La cioccolata (con o senza Gingjnha)
    Anche questa i portoghesi la sanno fare molto bene ed è un’ottima compagna per accompagnare un Porto d’annata.
  8. La processione notturna per i vicoli di Obidos
    Molto suggestiva e con un’atmosfera di silenzio e rispetto, senza fotografi prepotenti (anzi, forse i più smaliziati siamo stati noi) e con una popolazione estremamente disponibile ad accoglierti e lasciarti fare il tuo lavoro.
  9. I localetti dell’Alfama
    Baretti, taverne, terrazze: curati e caratteristici, ciascuno a modo proprio. Su tutte l’enoteca lungo la via che scende dal castello. Un piccolo gioiello dove scoprire il top dei vini portoghesi.
  10. La cerimonia dei campanacci a Castelo de Vide
    Dopo una lunghissima messa i fedeli sono esplosi in uno scampanio collettivo assordante ma al contempo armonico e liberatorio. E il riversarsi sulle strade, nonostante il tempo quasi invernale, è stato davvero emozionante e gioioso.

 

 

Non sono una fotografa

E questo è assodato. O almeno, aimè, non lo sono a tempo pieno.

Ma più vado avanti e più capisco perché. Pare che tutte le fotografe, almeno quelle fighe, siano strasecche, senza pancia, senza tette. Fisici androgini, piallati, nervosi, quanto di più lontano da me.

E non è una provocazione, accade anche per molti uomini (tette a parte), seppur in misura minore. E forse perché a loro, i veri fotografi, basta cibarsi di questa onirica arte. A bere bevono eh, eppure non gli si gonfia la pancia come a me, forse perché è vuota. Boh, sono livelli con cui proprio non posso competere almeno finché non potrò permettermi dei lavori superconcettuali in cui mi fotografo nuda e strafiga, senza tette, tra doppie esposizioni e reperti post industriali.

Trovatemi un lavoro di fotografe cicciotte che si scattano foto nude e ne riparliamo. Se c’è davvero del concetto, e del puro, magari anche sano, esibizionismo. A me ne viene in mente solo una, e non famosa. 

Un tranquillo weekend di editing

L’after hour wisspino se non altro mi ha permesso di dedicarmi un po’alle mie foto. Che, sempre più oramai, sono di viaggi. Bene, ulteriore stimolo a viaggiare sempre più.
È incredibile comunque come, andando a caso, il mio anzi i miei hard disk siano un concentrato di foto inutili. A volte, riguardandole, mi chiedo e cerco di ricordare cosa avessi mai visto in quella situazione. Anche nelle centinaia di foto turistiche, che insisto a fare nella speranza di stamparle prima o poi e magari chissà, farle vedere ai miei genitori, vado a pizzicare delle robe assurde che… boh!
Se poi avessi sta gran tecnica da poterle rivendere che so, su qualche sito stock e farci due lire, invece hanno sempre quel qualcosa che le rende così banalmente imperfette. E vabbè.
Comunque, visto che inizia già a salire l’attesa pasquale, che quest’anno sarà ungherese, tanto per rimanere in clima est, ecco una selezione di foto dal Maramures:
http://danielasilvestri.org/2015/02/21/hristos-a-inviat/
Ci sarei tornata molto volentieri perché anche se forse dalle foto, poche come si comanda, non emerge, è un posto bellissimo che mi è rimasto nel cuore. E spero che l’Ungheria non mi deluderà.
Invece, incredibilmente prima di qualsiasi altra gallery, ecco anche le foto di Istanbul: http://danielasilvestri.org/2015/02/21/istanbul-sinfonia/
Una piccola rinvincita dato che, la scorsa estate, a parte qualche gatto e minareti storti, ero riuscita a fare ben poco anzi, direi proprio nulla.
Per i puristi professionisti… purtroppo ho un sito pezzotto e come tale, mi sputtana tutta la sequenza nella galleria. Teoricamente sarebbe quella che appare nella griglia con le miniature. Oo so, non si dovrebbe fare, ma tanto anche il sito fotografico è oramai sempre più un blog, fotografico, un’appendice o forse meglio dire un’ernia di gighi e gighi che premono per uscire, anche se il mondo se ne frega. Enjoy!

Masjeed

Masjeed

Ciak, si scatta

Sicché domani ho il mio primo shooting fotografico per una pubblicità istituzionale. La borsa è pronta, le pile cariche, le schede nuove, gli obiettivi migliori, i flash e i faretti, il cavalletto, ci sono tutti e tutto dovrebbe funzionare.
Però cho l’ansia. Anche se si tratta di una foto di una serie a cui ho partecipato come assistente, domani per la prima volta sarò sola, sarò io a dirigere una piccola “troupe” per una sola foto, una deve essere e buona, che andrà su diecine di cartelloni enormi e probabilmente vedranno migliaia di persone. Io a dover fare la concentrata e la simpatica al contempo, a mettere da parte la mia di ansia per tranquillizzare i modelli e farli sorridere. Io che domani sicuramente suderò 7 camicie e avrò la vista appannata.
Una foto inter nos del cavolo, per questo difficile. È una prova importante per me, per come sono fatta io, che non mi sento mai portata per niente e mai sufficientemente capace. Non so neanche perché ho accettato, forse perché non c’erano molte alternative o forse perché è il caso di iniziare a crescere e cambiare.
E poi per una pubblicità brutta non è mai morto nessuno, al massimo potrò essere licenziata… ma sì, viva la vida, spericolata!

Barselonètt

Eccoci di nuovo qui. Il week-end mordi e fuggi Barcellonese è stato più veloce del solito (grazie anche alla sora Ryan che ci ha fatto partire con ben 3 ore e più di ritardo) ma piuttosto intenso. Bastano anche solo due giorni per staccare e ricaricarsi un po’, anche se poi alla fine è un corri corri e ti stanchi più del solito, ma è una stanchezza diversa, che riempie e di cui non mi stancherò mai.
Mi sento fortunata per la possibilità di poter fare queste brevi fughe, pensando anche a come mete così belle e affascinanti siano ora così facilmente raggiungibili.
Ero già stata due volte a Barcellona e mi ha sorpreso notare come in effetti mi ricordassi molte delle cose viste e, soprattutto, quante cose sia riuscita a vedere negli anni e quante non mi stancherei di rivedere. Ho rivalutato molto la città, che credo che in questi anni si sia di gran lunga riqualificata (a differenza di Roma). Penso sia una città godibilissima e da viverci: tutto a portata di mano, di tasche, di passi. Il pensiero che dopo una giornata di lavoro, anche intensa, in pochi minuti tu possa andare a respirare un po’ di mare, a goderti quei tramonti bellissimi accovacciata su una trave di legno, tra il richiamo di gabbiani e il vento che ti accarezza e arruffa i capelli.
Poi, come si sa, la quantità di locali è allucinante: non che io sia sta grande viveur ma la scelta è imbarazzante. Senza contare al numero di feste e festini che scovi per i vicoletti.
La Barceloneta mi ha ricordato parte dell’Havana vecchia, ovviamente meno sgarrupata, ma con lo stesso fascino.

A margine di questo viaggio ecco alcune curiosità:

– occhio quando acquistate il biglietto per la metro, che basta una piccola disattenzione oppure affidarsi alla logica che vi ritrovate a pagare 10 euro un biglietto che offre sì 10 viaggi, ma da farsi entro un’ora e 15 minuti e solo alternando tra metro, bus e treno. Più ci penso e più non riesco a capire, quindi, come si faccia ad arrivare a 10 ingressi – al di là dell’arco temporale folle – se i mezzi al massimo sono 5. Bah…

– la gita in catamarano è fichissima! Sì sarà anche una tamarrata da turista forse, ma è un relax totale e il ragazzo che suona il sax, un italoargentino che da che doveva venire a Barcellona per una settimana, si è fermato per 5 anni, è bravissimo e la sua musica vi regalerà emozioni bellissime.

– non è assolutamente vero che a Barcellona corri il rischio di esser rapinato in qualsiasi momento e guai ad aprire una cartina che ti ritrovi subito accerchiato, bastano le solite attenzioni.

– i barcellonesi mi sembrano nettamente più simpatici e rilassati dei madrileni – per quanto il numero di italiani occupati in bar e negozi sia quasi pari a quello di Londra e sia difficile scovarli.

– il numero di addi al celibato/nubilato sparsi per la città è quasi pari al numero di abitanti di un’isola.

– a barcellona impera la moda: vestiti come cacchio ti pare, accosta i colori che vuoi, purché tu abbia almeno un paio di shorts o un tubino.

– le espadrillas e le zapatos di cuoio gli autoctoni le indossano davvero.

– non credete sempre alla Lonley Planet: il mercato des Encants, che meritava assolutamente una visita e che si trova in una piazza dimenticata da Dios, è una cagata pazzesca, pari forse al lato più triste e sudicio di Porta Portese. E sì che di mercatini per il mondo ne ho visti eh, anche in città meno trendy, che gli spicciano casa. Soprattutto non date precedenza a questo quando hai a disposizione solo un sabato e una domenica, e praticamente tutti gli altri mercati più fighi sono chiusi la domenica…

PS: Sì, ecco un’altra gallery iphonata, con tanto di marchio Retrica – sto in fissa – da purciara. Astenersi polemici fotomatori/fotoprofessionisti/professionistipolemici.

Ancora voglia di te

A volte mi vengono delle idee folli, tipo che in questi giorni, a distanza di quasi 3 anni, voglio fare un fotolibro con le fotografie del viaggio di nozze. È un viaggio a cui penso tantissimo e spesso, che probabilmente non farò mai più nella vita, ovviamente non così. Ma non solo perché è la luna di miele – e non mi sposerò mai più – ma perché quei posti, con quelle sensazioni, saranno per me per sempre unici. Non c’è giorno in cui non desideri poterci tornare, poterlo rifare da capo, poter rivivere quella gioia e quella spensieratezza per ben 21 giorni. I ricordi sono vivi, ma ogni tanto hanno bisogno di una mano. Ho bisogno e ho voglia di poter rivedere quella gioia, quella bellezza, ogni volta che mi va, ogni volta che mi serve. E senza dover accendere un PC. È folle perché le foto sono un fracco – alcune davvero terribili, professionalmente parlando, ci metterò un sacco, ne selezionerò una marea e la spesa potrebbe essere non indifferente. Ma questa ora è la mia missione. Sì sono folle, ma una folle romantica.

Ciao Stè

E così ti ritrovi a scoprire una funzione nuova di Facebook, di questo strumento social odi et amo… scopri che Stefano non c’è più, all’improvviso e non ne sapevi nulla.
Quel ragazzone cosí simpatico il cui inconfondibile accento ligure ti riecheggia in testa come se ci avessi parlato fino ad un minuto fa.
Stefano il poliziotto buono e il suo amore per le foto, i caffè nespresso e le uninche mance del WSP. Stefano che voleva fare il corso di PS, che non si attivava mai ma lo voleva fare solo al WSP. Stefano che ci ha regalato una cornamusa all’inaugurazione, che porta bene, porta guadagno… Stefano che mi taggava in foto stupidissime e io lo cazziavo… Stefano uno di quelli che ci voleva bene, ma bene davvero.

Ed è così… e salgono a 5 i profili tenuti su dall’amore e dal dolore di chi rimane per chi improvvisamente e troppo presto sene è andato.
5 anime che son lì, che non ho il coraggio né voglio cancellare, perché erano 5 profili veri, mica gente così… e ogni tanto ci ritorno, anche se mi fa male… ci torno così come tornerò da Stefano e mi ricorderò ancora di quella voce e sorriderò.

Ciao Stefano!

Who photogaphs the photographer

Ma quanto è abusato ( e violentato) il ruolo del fotografo nell’immaginario cinemafotografico o seriale? Quando non si sa che mestiere far fare a uno dei protagonisti oppure gli si vuole dare quel tocco di figaggine senza troppe pretese, o quella chance in più di rinascita, ecco che spunta una Leica.
Tra i peggiori mi vengono in mente la roscia di Six Feet Under, la bionda di Brothers and Sisters, Aria in Pretty Little Liars, Julia Roberts in Closer, Matthew McConaugney in La rivolta delle ex, oppure il film finto Agatha Christie che stasera trasmette la 7, dove almeno pero’la protagonista parte come fotografa (però senza Leica), e non si ricicla come tale.

Sò soddisfazioni

Ho conosciuto Fausto nel 2004 perché, senza troppi giri di parole, era (ed è) il migliore amico del mio ex ragazzo.
A posteriori e con certezza posso affermare che la sua amicizia sia quanto di meglio uscito da quella storia. Un’amicizia che, nata in tutt’altro modo, si è cementata negli anni, così come altri aspetti nella mia vita, grazie alla fotografia.
Della sua vita ne faceva già parte, della mia solo di traverso.
A volte mi piace pensare che siano state le ore trascorse ad aspettarlo su un ceppo pieno di resina in uno sperduto lago essiccato della Corsica, mentre scaricava schede e rullini, a far venire la voglia anche a me di perdere così tanto la cognizione del tempo dietro una lente. Così misteriosa.
Ore ed ore a parlarne, a sognare, ad emozionarci o arrabbiarci per le vittorie degli altri, vedendole così lontane, irraggiungibili.

Il suo premio, un traguardo importantissimo, mi riempie di gioia e commozione.

Il suo premio è la vittoria di tutte le persone che vanno avanti dritte senza chiedere nulla, senza troppo rumore, senza santi in paradiso. Spesso ignorati dal mainstream, con tante porte chiuse in faccia e con più di qualche boccone amaro da ingoiare. E’ la riprova che davvero non bisogna mai mollare, che il talento, quello vero, alla fine viene sempre a galla. E premiato. Grande Fausto!!

PS: e se non altro, quelle ore di attesa mi sono valse la stampa autografata da un WPP, di una me giovane e bionda, abbarbicata su un tronco. Assolutamente ignara del futuro. Sò soddisfazioni.