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Rieccoci

Siete contenti che, anche questo Natale, ve lo siete levati dalle palle eh? Contenti voi. Vacanze finite, diete imminenti, rientri a lavoro traumatici, luci spente, carta regalo nella spazzatura, alberi e decorazioni colorate in soffitta. Contenti voi.
A me come sempre dispiace, quest’anno complice sicuramente un bellissimo viaggio, ho avuto poco modo di fare la turista per Roma e, ad esempio, vedere la nuova veste ripulita di Piazza Navona, e me n’è dispiaciuto assai. Inoltre quest’anno non sono neanche riuscita ad organizzare una fatidica serata di giochi e leccornie a casa e anche di questo mi rattristo. Il tempo sfugge sempre e la stanchezza era davvero ad altissimi livelli.

Io, come al solito al rientro da ogni vacanza, non sono mai sufficientemente pronta a ricominciare. Dei vari buoni propositi che ho letto in giro, ho deciso di sposare appieno la filosofia proposta da Oliver Burkeman su Internazionale. 

Primo, voglio riprendere a meditare. E’ incredibile, per una serie di motivi diversi, come il periodo dello yoga sia stato uno dei momenti, fisici e mentali, migliori della mia vita. Tante energie e forza di volontà. La vita mi ha allontanata, soprattutto dal mio grande insegnante, l’unico con cui mi fidi a fare yoga. Ma per meditare possiamo essere tutti capaci anche da soli e voglio riprovarci.

In secondo, le rinunce. Ah sì. Quanto più ci subissiamo di attività e compiti e lasciarli in sospeso è quanto di più frustrante. A cosa voglio riunciare? Voglio cercare di essere meno social. Sì lo so che vado anche contro parte del mio lavoro, ma questa vita appesa al pubblico, alla condivisione, al bisogno di conferme, al commento minuto per minuto, alla tuttologia, al prezzemolismo, al non voler e poter mai rimanere indietro, mi ha esasperata. Che non significa più privacy, non ho nulla da nascondere, ma significa godersi un film senza un telefonino in mano, vivere la propria vita senza bisogno di sapere per forza cosa fanno gli altri, senza voler riallacciare contatti con gente perduta nel tempo, che è solo un naufragar continuo nel mare della nostalgia, dei se fosse e avrei potuto. E fa male.
E rinunciare sì, mio malgrado, anche alla fotografia. Dove per fotografia intendo lavoro. Non si possono fare mille lavori per campare (per quanto per l’attuale momento economico sia spesso una necessità) perché si rischia di fare tutto male e in modo approssimativo. Rinuncio a qualche “sfizio” pur di godermi un po’ di più le gioie di questo strumento. Almeno per il momento, ho bisogno di una pausa. Di non rincorrere eventi fichi, vendibili, di non aggiornare portfoli, misure, lavorazioni, di non seguire per forza ciò che va o che non va. Tornare ad essere anche una semplice spettatrice.
Perché a che cosa non posso rinunciare? A lavorare, al WSP, alla mia famiglia, a Holghina, allo sport, a leggere, al cinema e alle serie Tv, agli amici, allo scrivere, alla musica, ai piccoli viaggi, alla mia casa e al mio mondo.

E per quanto riguarda l’essere meno severi con se stessi… sì, esser più indulgenti, concederci la possibilità di sbagliare, soprattutto pensare che niente è insostituibile, niente è definitivo e tutto, davvero tutto, anche se con tempi diversi, si risolve. O non permettere che siano gli altri a decidere per me, a giudicare per me, a farmi sentire come vogliono loro.
Ecco, dovrei essere più severa con gli altri, quello sì.

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Sì, viaggiare. Sì, amarsi.

“Pico Iyer, grande giornalista e scrittore di viaggi, racconta che “viaggiare è un po’ come essere innamorati, perché improvvisamente su tutti i sensi c’è scritto ‘acceso’.  […] Oggi, da dove vieni è meno importante di dove vai. Ma è solo fermando il movimento che puoi capire dove andare. Ed è solo facendo un passo indietro, dalla tua vita e dal tuo mondo, che puoi vedere quello a cui tieni di più, e quindi trovare casa. Il movimento è un privilegio fantastico. Ci consente di fare cose che i nostri nonni non potevano neanche sognare di fare. Ma il movimento ha senso solo se c’è una casa a cui tornare. E la casa, in fin dei conti, non è solo il posto in cui dormi. È il posto in cui stai”.

Ho trovato l’ultimo editoriale di Giovanni De Mauro davvero bello, quasi poetico. Soprattutto perché racchiude molti dei miei pensieri sul tema del viaggio. Adoro viaggiare quanto amo il momento di tornare a casa. Non prima, quando sei ancora in viaggio o a rifare valigie di vestiti ciancicati e biancheria arrotolata in buste da duty free shop e ti prende la nostalgia del rientro. Solo al momento in cui varco di nuovo la soglia della mia casa, con le mie cose, gli odori e i sapori dei miei sogni e della quotidianità della mia vita e della mia famiglia, capisco che anche tornare ha il suo fascino e il suo valore.  La mia vita si accresce di un altro tassello, di altri posti, luoghi, emozioni vissuti altrove che fanno apprezzare, odiare, ridiscutere, ciò che si ha e si è. Viaggiare è mettersi in discussione. E chi rimane sempre fermo, si perde la bellezza di conoscersi, amarsi e anche odiarsi, la linfa, il senso di tutto.