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No Saints for Anais

Ci si lamenta tanto delle feste, poi non fanno in tempo ad arrivare che già finiscono. Il traffico, la corsa agli ultimi regali, i pacchetti fatti all’ultimo ma al meglio che potevi e la carta che ogni anno avanza e non ricorderai di averla il prossimo anno. Io non ho avuto – ancora – febbre ma evviva, mi è tornato il raffreddore e da ieri sono di nuovo più cenciosa di prima. Ma mene sto qui congelandomi, nell’attesa che anche Holga si depuri del cenone in un parco desolato e umido. E umidi quest’anno sono anche i pacchi scartatati e abbandonati nei secchioni, scatole di giocattoli che hanno reso felici bimbi e avanzi di dolci e leccornie che come ogni anno ci stringono all’altezza della cintura.
Mi godo ancora un po’ di silenzio e accarezzo la mia pancia gonfia pensando che il primo compito del nuovo anno sarà non rimandare più una visita dal gastroenterologo.
Buon Santo Stefano… e chissà che fine avrà fatto quel bel Stefano vicino di casa di mia zia, che andavamo sempre a trovare a Via di Portonaccio, oramai quasi 25 anni fa.

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Tutta mia la città

Oggi finalmente sono riuscita a farmi una bella e lunga passeggiata in centro.
C’è un sole bellissimo, un tepore che mi ha fatto sudare 7 camicie nel piumino super repellente (probabilmente domani avrò 40 di febbre) e approfittando di una visita che ho nel pomeriggio, ne ho approfittato per fare tutta una tirata.
Forse erano anni che non passavo per Via del Corso, e di fatto salvo sosta con relativo obolo nel nuovo mega store HM (fighissimo), mene sono tenuta alla larga. Ciò che c’è intorno però in giornate così è davvero da brivido.
Un timido Natale si affaccia nella Capitale. A parte palazzo Fendi e qualche viuzza interna, niente di esagerato e strillato. Forse meglio così. Ci siamo mangiati un bel pezzo di pizza croccante nel ghetto, poi avrei voluto vedere una mostra alla galleria del cembalo, un gioiello dove ancora non ho mai avuto piacere di andare, ma purtroppo era chiuso.
Mi sono portata avanti con molti regali e ho praticamente già quasi finito.
Se non fosse per questo raffreddore, una stanchezza atavica e il sonno persistente, sarebbe tutto perfetto.
Quando faccio questi giri non posso non chiedermi come avrei reagito alla vista di Roma in veste da turista. Cosa mi sarebbe piaciuto, dove sarei andata.
Non posso non notare come sia diversa da Parigi, Londra. Come siamo diversi noi che l’attraversiamo e viviamo come un grande salotto o una semplice sala d’attesa. Come se non fosse mai davvero fino in fondo nostra, se non nei confini dei nostri quartieri.
Ed è proprio lì che torno anche stasera. In quei viali di foglie, macchine, sporcizia, incuria. Perché poi Roma per noi romani di fatto è solo periferia.