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Senza speranza

Questa città mi lascia sempre più attonita e sconfortata. Qualche settimana fa, in pieno centro, a mia sorella hanno rotto il  vetro dell’auto e scippato la borsa, in pieno giorno e senza che  nessuno facesse nulla. Oggi a mia madre mentre stava chiudendo l’auto, tutta contenta dopo aver portato Holga al parco, un signore la richiama e le indica degli occhiali a terra, facendole notare che le erano caduti. Lei ingenua scende e nel frattempo un compare apre lo sportello e le prende la borsa e un terzo compare attende ad auto accesa e tutti scappano. Alle 18, ancora giorno, in una zona neanche troppo periferica, con vicino negozi, bar, la palestra. Spavento, rabbia, danni morali, dani noiosi (rifare documenti, again, visto che pochi mesi le era stato rubato il portafogli al mercato), danni economici per cellulari da ricomprare e perché tutti noi dobbiamo cambiare le serrature che sono assai costose. E solo qualche mese fa ancora, il trucco del finto incidente e 250 euro rubate nell’aver dato retta alla persona sbagliata o per aver avuto paura di conseguenze anche peggiori.

Rabbia e rassegnazione per sentirsi sempre più indifesi e per doversi ritrovare ad essere quelli che non siamo. A doversi non fidare mai più di nessuno, neanche di un anziano che credi voglia aiutarti o pensi possa avere problemi. Ti costringono a girarti dall’altra parte, a non parlare con nessuno, a non rispondere al telefono perché un call center può rifilarti una fregatura, a non fermarti se qualcuno chiede aiuto perché potrebbe rivelarsi una trappola. Mi torna in mente il caso di quella povera ragazza che morì bruciata dal fidanzato senza che nessuno facesse nulla o si fermasse e tutti gridarono contro ad un paio di passanti che passavano di lì. Beh oggi più che mai capisco, capisco aimè la diffidenza, la ritrosia. Un signore che ha assitito alla scena per fortuna si è fermato, ha preso la targa, ha permesso a mia mamma, che aveva perso i cellulari nella borsa, di chiamarci. Ma quel senso di impotenza e rabbia rimane, quelle parole che da oggi continueremo a ripeterci: stai attenta, non parlare con nessuno, non dare retta a nessuno. Dove ci portano? Quanti muri virtuali ma sempre più resistenti ci fanno alzare? Verso tutti, senza distinzioni. Erano anni che non mi sentivo così, impotente, erano anni che non avevo cosí paura, nella mia città, nei miei quartieri. E mi fanno sorridere le persone che mi dicono di stare in guardia e attenta quando viaggio, io che viaggio spesso nell’Est mentre la delinquenza non ha confini ma si insinua in stati che latitano, in città allo sbando dove tutto è concesso e niente è punito.

Che pena e che rammarico nella presa di consapevolezza che nulla, almeno a breve, potrà cambiare la situazione, se non peggiorarla.

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La grande depressione – again

Oggi ho passato una bella serata. Sono riuscita ad uscire prima dell’ufficio e alle 18:30 ero a Piazza Vittorio, ospite di una piccola “manifestazione” per un reading con il mio gruppo di scrittori.

Era da tantissimo che non andavo, probabilmente dai tempi di quella bellissima esperienza che fu seguire il Piazza Vittorio Cricket Club. Ovviamente c’era gente di ogni razza e colore, e per quanto il NY Times abbia tacciato l’esquilino come il peggior esempio di quartiere multietnico, a me piace per questo. Anche se un ubriaco, nero, ad un certo punto si è messo a ridere e blaterare davanti la lettura del nostro insegnante. Anche se ho visto almeno tre persone dormire, sporche, sulle panchine. Da che eravamo un gruppo sparuto, a poco a poco le persone si sono avvicinate incuriosite. Io mentre leggevo le mie cose mi sono accorta di usare un sacco di parolacce, cazzo, non me ne ero mai resa conto. Dopo di noi un gruppo di attori e musici hanno letto e suonato, e un gruppo di bambine asiatiche si è avvicinato curioso per ascoltare e ballare. È stata una scena molto bella. Ho pensato, questa è la Roma che mi piace: aperta, solare, in piazza, con la musica, la cultura.


Poi quando sono arrivata sotto casa, in prossimità del portone, mi sono trovata un tizio, nero, che tranquillamente si è tirato giù i pantaloni e iniziato a pisciare a fontanella sul secchione, già putrescente, continuando a parlare con nochalance al telefono. Io ero a un metro, cazzo, mi son dovuta allontanare sennò mi schizzava pure. E tutta la magia è sparita di colpo.

Non si tratta di essere razzisti, poteva essere di qualsiasi colore, o poteva essere un romano di seconda generazione. E in ogni caso se vivi qui è la tua città, rispettala. Io non vengo a casa tua a pisciarti sul letto. Fatto sta che mi ha fatto schifo e tristezza. E io non ho avuto il coraggio di dire nulla, se non guardarlo sperando di farlo almeno vergognare, perché era buio ed ero sola e questa non è più città per eroi e tanto meno eroine.

Roma è marcia, ma il genere umano lo è sempre di più.

La grande depressione

Ci si può sentire depressi da e per via della città in cui si vive? Presumo di sì. E se un tempo pensavo potesse capitare solo a chi abita in zone molto disagiate o dove che so, fanno 5 ore di luce al giorno, fissi sotto le zero senza poter uscire o svagarsi, ora credo invece che stia capitando a me che, in teoria, abito in una grande capitale, una città che dovrebbe essere tra le più belle al mondo.

So che ultimamente è un tema trito e ritrito di cui si parla in tutte le salse, a volte fin troppo piccanti, ma oramai non si può più fingere di esser arrivati, davvero, all’esasperazione. 

Anni fa mi feci una litigata con la compagna argentina, trapiantata a barcellona, di un amico. Si lamentava di quanto Roma fosse sporca, sciatta, disorganizzata e io me la presi quasi sul personale, attaccandola. E non era niente al confronto di oggi. Bene o male “normali” disagi di una città, italiana, enorme e sovraffollata. In questo weekend sono stata a Milano e ho rivisto una ragazza napoletana che per anni ha vissuto a Roma e l’ha amata e l’ho sentita parlare bene della sua nuova città e di come la qualità della sua vita fosse migliorata. Di come sia tutto più organizzato, pulito, a portata di mano, quasi da sentirsi in vacanza, di come fossero tutti più gentili e cortesi. Sì perché anche noi romani siamo peggiorati e siamo diventati sciatti, sporchi, maleducati, complici e al contempo vittime di questo declino. E l’ho invidiata. E Milano mai come in questi giorni mi è sembrata così bella e noi, davvero, i cugini poveri e malaticci. 

Perché la città è sporca e putrida e l’Ama ci mette del suo, e i secchioni sono sempre pieni e di spazzini io non ne vedo da un’eternità, però chi butta materassi, mobili, elettrodomestici per strada? Chi lascia le piazze tappezzate di carte e bottiglie di birra vuote? Chi scrive sui muri appena ridipinti o li tappezza con poster abusivi? È perché non ci sono secchioni a sufficienza né servizi adeguati. Sì, a trovar alibi siamo da sempre maestri, così come nell’arte del lamento. 

Ma Roma fa schifo davvero, aimè, e non riesco più ad amarla e a ritrovarne la bellezza. Ad arrabbiarmi con chi ci chiama ladroni, con chi ci deride. Un tempo almeno, con i giornali locali, i panni sporchi si lavavano in casa. Adesso, con il web, la nostra disperazione è sotto gli occhi di tutti. Tutti ci compatiscono o ci deridono. Oggi persino il New York Times ci ha dedicato niente meno che la prima pagina. 

Ed io mi deprimo, come un’amante delusa, lasciata, abbindolata. Come nelle migliori coppie ci si ama e si soffre entrambi, ma c’è sempre qualcuno che la fa grossa e chi ne paga le conseguenze. Tu stai male Roma, lo so, ma a soffrire di più sono io, siamo noi, i tuoi cittadini che ti hanno amata e rispettata da sempre.

Mi fa male non poterti difendere da chi dice che siamo al livello di terzo mondo. È così. Ed io ho anche la fortuna di non dover affrontare più quella tortura quotidiana dei mezzi pubblici, che pure ho frequentato anche col sorriso e accettando disagi nella norma, ma quello che accade ai miei concittadini metropolitani è da incubo. E vedere che tutti ci guardano nella nostra disperazione, nel nostro parlare rozzo e più che mai sguaiato, mi mette così a disagio. 

Mi deprimi. Non ho più voglia di vederti, di frequentarti, in questa poi che dovrebbe essere tra le stagioni più belle per stare all’aperto, tra i parchi, i bistrot, i concerti. E invece puzzi e mi fai senso. Mangiare una pizza con le amiche e poi doversi tappare il naso per non sentire l’odore di piscio salire dalla strada, la monnezza ovunque e le foglie marce che tappezzano le strade. Le scritte sui muri di vie e quartieri sempre più squallidi. Casermoni di cemento cresciuti senza controllo, senza senno, macchine, chiasso. Mi manca l’aria e non ce la faccio e così ti evito. Non ho voglia di uscire, di vederti. Oramai è un continuo girare tra un locale e l’altro per non doverti incontrate mentre un tempo mi mancavi. Non mi attira più niente di quello che mi proponi. E mai come oggi vorrei abbandonarti perché non ce la faccio più.

Sono depressa, di una depressione da cui non so come guarire. Diamoci un’altra possibilità, come da copione, mi verrebbe da dirci. Anche se non so più davvero a cosa appigliarmi per guarire e farti guarire.