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Diario greco

Eccomi di rientro da uno splendido lungo week-end nella culla della cultura greca: Atene. Diverse persone mi avevano sconsigliato la città, chi dicendo che fosse squallida, triste, pericolosa, chi che non avesse nulla da offrire a parte l’acropoli. 

Ecco, partiamo proprio dall’Acropoli: penso che l’umanità tutta ma soprattutto chi ha una formazione classica e ha possibilità di viaggiare, non può non visitare questa meraviglia almeno una volta nella vita.

È un’emozione ad ogni passo, ad ogni rudere. Anche calpestare quei marmi ti fa strano, cammini in punta di piedi sentendoti così piccolo di fronte a tanta magnificienza. Ho chiuso gli occhi cercando di ripescare nella mia testa ricordi aimè così lontani di una cultura che tanto ho amato. Sedersi nel teatro di Dioniso è stato da brivido. E quella magnificienza che dalla città ti guarda in ogni dove e ti emoziona e ti fa pensare che forse l’essere umano qualcosa di bello è in grado di farlo. Ti siedi in uno dei tanto baretti a Plaka, che costeggiano le rovine dell’antica enorme Agorà e non puoi non chiederti se sia giusto che ora ci sia tutto questo, tra cui una metro a tener svegli i morti. Oppure, anche loro, tanti tanti anni fa, tra un filosofeggiare e l’altro, si concedevano a loro modo gli stessi vizi. E magari adesso ti invidiano un po’.

Ho visto una città allegra, vivace, viva, con tante persone in pizza, ai bar, nei locali, non turisti, intenti a ridere, chiacchierare, bere caffè come in una qualsiasi altra bella cittadina che ho visitato e che non ha niente da invidiare alle altre. Persino il cambio della guardia può battersela con il più blasonato cugino inglese. In molti tratti, ovviamente, mi ha ricordato Istanbul, in piccolo. Stessi dolcetti, souvenir e macina caffè. Mi sono ubriacata d’argento, vero o presunto tale, come non facevo da tempo e di simboli. Civette benauguranti, soldati baldanzosi, spirali di forza, libertà e fortuna. Ho anche visto sporcizia e povertà questo sì, la zona del Pireo è triste e un po’squallida, con tanti mendicanti e un profilo grigio disegnato da fin troppi palazzi fatiscienti.

Non abbiamo girato troppo dal centro, sono sincera, non avevamo tempo e poi eravamo troppo ben posizionate, a Monastiraki, per avere bisogno di cercare altrove. La cucina greca è buona, la birra dissentante, sebbene abbia mangiato un kebab di pollo sciapo e freddo, ho però assaggiato una varietà di tsatsiki da stare a posto per un bel po’. Quello alle rape rosse però batte tutti! Mi è venuta una gran voglia di visitare di più questo paese che penso sia stupendo, una gran voglia di isole, paesetti e chiese. Chissà magari la prossima pasqua ortodossa, visto che io e il clima greco estivo non credo potremmo andare troppo d’accordo.

La vita, almeno in centro, costa come qualsiasi altra capitale europea, non ti regalano nulla, anzi. Per le nostre notti brave due mojto a 18 euro, ottimi e preparati da un novello Agamennone, ci sono bastati.

Gli ateniesi sono gentili, bonazzi (oh devo ammetterlo) abbiamo trovato facce sempre sorridenti che ci hanno sistematicamente offerto qualcosa: yogurt, ouzo della casa, e quelle lukumades intinte di miele che mi sognerò anche di notte.

Con il caldo e la piacevole brezzolina serale, il panama per proteggermi dal sole, gli short e quell’aria di mare che ogni tanto saliva dal porto, mi è sembrato di essere in ferie davvero, e non che tra soli due giorni mi avrebbe di nuovo accolto a braccia aperte il mio lavoro, che fino ad agosto non mi darà più tregua. Un vero assaggio di estate, per questo domani tornare mette ancora più del solito l’amaro in bocca.

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