Io sono fortunata. Attualmente lavoro, e di questi tempi già è una fortuna, in più a due passi da casa. Ho una macchina, sebbene comporti più costi di una tessera metro, devo percorrere una sola strada, che ogni tanto chiudono per un albero pericolante, una fibra ottica o nuove buche che si riaprono su lavori appena fatti. Ma ecco, sostanzialmente al massimo posso impiegare 30 minuti per andare e tornare. Ma non dimentico un lungo passato da mezzo pubblico. Prima come universitaria, poi come impiegata con l’ansia che anche tardare 5 minuti potesse significare una lettera di richiamo. Mi ricordo le lunghe, lunghissime attese. Gli autobus pieni, che si rompevano fin troppo spesso, i cortei, gli scioperi. Non ho mai dovuto fare la pendolare, questo sì, a parte il periodo che avevo scelto di usare il trenino da trastevere, unico mezzo per raggiungere la metro da monteverde. Ma poi ho optato per svegliarmi ancora prima e tornare sui mezzi, che se possibile era meno peggio. Ma avevo comunque una scelta. Molti, purtroppo, no. Ricordo con piacere però i tanti libri letti, in piedi o le non troppo rare volte in cui riuscivo a sedermi, la musica sempre nelle orecchie e un occhio sempre rivolto all’orologio. Per cui in giornate come queste, davvero, il mio pensiero va a tutte le mie vecchie me, soprattutto alle mie vecchie colleghe, che non solo devono subirsi i disagi di questa città sempre più allo sbando, ma devono viverle col pensiero di quel posto, che non ammette umanità. Perché sì è brutto non lavorare, ma anche farlo con l’angoscia dentro, con la consapevolezza di gettare ogni preziosa giornata in pasto a emeriti imbecilli, non è tanto da augurare. Vi abbraccio. In bocca al lupo per oggi.