Ho iniziato a familiarizzare con la morte e con il dolore che ne consegue molto presto. Ho perso mia nonna materna a soli 5 anni, quella paterna e mia zia carnale poco dopo, vedendo strapparmi troppo presto l’affetto e la saggezza che solo loro hanno, e interrogandomi sul perché quel Dio che la mamma mi diceva di pregare ogni sera fosse stato cosí egoista da volerle così presto con sé, permettendo tante sofferenze per genitori e fratelli forse ancora impreparati ad andare avanti senza la loro guida.
Poi è stata la volta di Manuela, la mia amica delle elementari. Manuela dai capelli corvini e gli occhi più verdi e penetranti che abbia mai visto e che nonostante tutti questi anni, ancora tornano a farmi visita nei sogni. Manuela che faceva le ricerce migliori di tutte noi xké aveva una cartoleria e tutti i numeri dell’enciclopedia conoscere. Manuela che correva con il suo grembiule rosa e ingenua, e che un secondo dopo all’improvviso sveniva davanti ai miei occhi, e un’aunerisma, parola troppo difficile persino da pronunciare a 7 anni, se l’era portata via per sempre, insieme alla felicità e il senso di una famiglia distrutta.
A volte penso che sia stato quell’episodio, mai più dimenticato, a farmi salire su un’ambulanza a 22 anni, così da imparare cosa fare in certe situazioni e perché poi in fondo, alla morte ero stata abituata presto.
Pensiamo di essere “preparati”, xké così è nelle cose. Ma quando accade a quelli che sono stati amici o colleghi cari, ad età troppo sfacciatamente giovani, fa più paura, perché ti senti più vulnerabile e indifeso.
Perché si tende ad associare la morte alla vecchiaia, invece purtroppo non sempre è così. Anzi, quasi sempre non lo è ultimamente.
Quando una fredda mattina mentre si recava a lavoro è morto Sergio, che era stato il mio compagno di banco a 8 anni, che aveva un carattere violento e problematico tanto da aver bisogno già allora degli assistenti sociali, fu un colpo durissimo. Alcune persone puoi non vederle per anni ma sai che sono dentro di te, da qualche parte. Per i compleanni trascorsi insieme, i giochi e le recite scolastiche, perché ti hanno insegnato qualcosa che ha cambiato la tua vita. Come Giuliano, il mio primo “capo” quando avevo solo 25 anni e lui 27 e aveva visto in me quel potenziale che poi nessun altro è riuscito a tirare fuori più. E come si accetta che si può morire di infarto a 30 anni?
E di leucemia, fulminante, a 33?
Caro Dario, piccolo grande uomo che già avevi dovuto combattere contro una brutta malattia vincendo, che avevi deciso di ribellarti a questo schifo e mettere la tua intelligenza a servizio del sociale e non del capitale. Caro Dario che se questo inverno andrò a Cuba realizzando un piccolo sogno sarà anche grazie a te, che per primo mene hai parlato, di un altro mondo possibile e contraddittorio, a 15 anni, dal megafono di assemblee confuse e fumose, stretto nel tuo eskimo da cui uscivano quelle gambe secche e un po’ storte x cui ti prendevamo in giro.
Posso solo immaginare il dolore di chi ti era più vicino e si chiede: perché?
La morte separa, la morte riavvicina. Le persone che ti hanno amato ci saranno tutte a stringersi nel loro amore per te, e noi vecchi compagni di classe e di breve viaggio ci saremo perché non ti abbiamo dimenticato e non lo faremo, e ti saremo grati per farci ritrovare ancora vicini e sopravvissuti, in questa vita che è un dono e un vuoto a rendere.
Ciao Dario.
😦
Post bellissimo… Grazie.