Ieri sono tornata al cinema, di mercoledì, dopo mille anni. Non lo farò mai più.
Tra i pochi veri cinefili, che devono necessariamente economizzare per la mole di visioni a cui si sottopongono, la maggior parte era composta da persone caciarone, un’enormità di studenti, ovviamente, troppo chiassosi e felici per il mio punto di vista da animale asociale.
Soprattutto i miei compagni di sala, ragazzine ruminanti che non hanno fatto altro che sgranocchiarmi nelle orecchie saccocciate di pop corn e mais tostato, mandate giù da litri di cocacola a garganella.
Al di là del fatto che sono a dieta e che comunque, probabilmente, dopo essermi mangiata mezzo chilo di quella roba oggi peserei un chilo di più (loro, ovviamente, tutte scheletriche), è normale che a un certo punto il fisico ti dia segnali che la tua mente idiota non è in grado di comprendere, così una in particolare ha iniziato a tossire quasi fino all’asfissia, per almeno 10 minuti di fila.
E’ in questi momenti che prendo atto del mio acidume, me ne rendo conto ma non faccio niente per nasconderlo. Per me poteva pure soffocare, visto che mi ha rovinato la visione di tutto il film. Pertanto, posso solo che evitare il mercoledì.
Il film, dunque. Sono riuscita a vedere Inside out, l’ultimo cartone della Pixar. Ovviamente, mi sono commossa. Non quanto credevo a dire il vero.
Io penso che il film non sia perfettamente riuscito, a tratti è macchinoso, ripetitivo e poco brillante. Ma per molti di noi grandi, che i 12 anni li abbiamo già passati e che conosciamo anche molti dei meccanismi che accadono della mente (o almeno crediamo), è impossibile non immedesimarsi. A proprio modo.
E sebbene il lieto fine, sappiamo che non basta, che non è sempre così. Quasi mai lo è. Purtroppo, quasi mai bastano solo un abbraccio di mamma e papà per vincere la tristezza. Ma quanto è vera l’importanza della tristezza, per viverti meglio la gioia, o per darti la spinta a ricordarla e, quindi, a ricercarla.
Quanto servono le lacrime, quanto ti fa star bene non tenerle dentro e quanto siano spesso una languida richiesta di aiuto quando le parole non sai dove siano finite.
Quanto è vero che esistono sovrastrutture, o isolette, nella tua mente che giorno dopo giorno diventano roccheforti da cui è impossibile prescindere, eppure non così inoppugnabili.
Quanto sia vero, e triste, sapere che tanti ricordi sono andati perduti, spesso i più belli, e forse non torneranno più. Mentre proprio i più belli, a volte, punzecchino il cuore.
Sarebbe bello che i nostri amici immaginari non scomparissero mai, che fossero sempre lì a ricordati che puoi essere anche pazza, folle, scriteriata e, comunque, essere felice.