Enorme tristezza per la vicenda del giovane ragazzo precipitato a Milano. Impossibile non farsi domande, indignarsi, sentire la pelle accapponarsi. E impossibile non ripensare a quando al suo posto c’eri tu. E sì, sentirsi graziato.
Le memorabili gite scolastiche, forse uno degli aspetti più belli in assoluto nella vita di ogni studente. Forse. Per i ragazzi popolari, sicuramente. I caciaroni, i leader e le cheerleader, quelli sempre in mostra, quelli ammirati, temuti e odiati dagli sfigati. Sicuramente non facevo parte di quella categoria, ma ho avuto la fortuna di poter crescere con delle amiche e degli amici fantastici, nella nostra impopolarità. Che a tutt’oggi sono la mia famiglia. Come capitino e come nascano queste amicizie “giuste”, è un mistero, almeno per me. Ma tante cose oggi le capisco di più. Alcuni limiti così rigidi dei miei genitori, come ad esempio non mandarmi alla prima gita delle medie, per cui piansi giorni interi. All’ansia che potranno aver provato, manifestandola (a tutt’oggi) con le chiamate, ogni giorno. All’epoca non esistevano ovviamente i cellulari e io me lo ricordo ancora nel grande ristorante dell’hotel a Praga, di fronte a un nauseabondo piatto di prosciutto cotto e panna e canederli, il cameriere chiamare a gran voce il mio nome perché c’era mia mamma al telefono. E tutti girarsi, e ridacchiare.
Non voglio passare per santa, di stupidaggini ne ho fatte tante, anche io. Anche noi. Come siamo riusciti a non trascendere mai, a non andare oltre, a non fare scherzi idioti senza pensare o capire le conseguenze, non saprei. Se è stata fortuna o se è stato grazie anche ai miei genitori, a come mi hanno cresciuta, capita, aiutata. Io che non potevo andare sul motorino, in discoteca, ovviamente fumare e bere, dormire dalle amiche, dormire a scuola, occupare, manifestare. Ma lo facevo lo stesso. E forse loro lo sapevano. Come non abbia avuto incidenti, come non sia finita tra le mani del ragazzo sbagliato per fare la cretina, come non mi sia fatta il giro di tutti i ragazzi della comitiva – che comunque non avevo – per non sentirmi meno sola, meno cessa, meno invisibile. Non lo so. Come per anni abbia preferito i libri all’alcol, alle droghe, come studiare tutto sommato mi piacesse. Fortunata sono stata io. Ed i miei genitori.
Forse la mia ironia mi ha sempre salvata, nonostante tutto. Perché il lato ironico porta a non farti prendere sul serio molte cose, ti difende, per quanto a volte il rischio di sminuirsi o diventare troppo cinici sia sempre alle spalle. E poi perché in fondo sono sempre stata un po’ asociale, quel tanto che basta a non sentirsi morire se non si è sempre al centro dell’attenzione, anzi. La qualità alla quantità, sempre. Pochi amici, ma buoni. Ci siamo trovati e scelti forse a vicenda e insieme ci siamo fatti da angeli custodi e ci siamo protetti. Forse anche più dei nostri genitori, che a quel tempo erano nemici.
Io le ricordo tutte le mie gite, specie quella di IV ginnasio insieme ai ragazzi del III, alcuni ben più che maggiorenni. Anche lì ricordo che c’era gente che uscì di nascosto, che si ubriacò. E le compagne di classe che volevano fare breccia tra i belloni dell’ultimo anno. Quel corridoio con la moquette polverosa, le ragazze grandi, dai capelli lisci, le pance piatte, il trucco, che ci guardavano dall’alto al basso. Le birre, le sigarette. Ed io che non ero nulla a confronto e non avevo neanche mai baciato nessuno. Già. E così preferii una serata di cuscinate in stanza con le amiche, grandi risate, a crepapelle. E poi quel ragazzo bellissimo, il più bello della scuola, che neanche osavo guardare, chiedermi il giorno dopo di sedermi accanto a lui sul pullman. E diventare, poi, il mio primo bacio. (Ma non in gita 😉
Cosa sia successo davvero a Milano non sta a noi scoprirlo. Di chi le colpe. E come si possa andare avanti. Se Domenico non ha avuto gli amici giusti, se sia stato un incidente, la sfortuna, il destino.
To C., G., V., F., L., R.