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Diario parigino

Tornata da Parigi con la solita malinconia e lasciando come sempre un pezzo di cuore in quella che rimane, per me, la più bella città del mondo.
Anche se l’albergo non era proprio il massimo e la zona non proprio la mia preferita, ogni cosa, ogni bar, anche il più insulso, ha quel fascino introvabile altrove. Quel misto retro dallo stile a volte decadente ma accogliente, caldo. Quel rosso bordeaux che domina in certi caffè, quei particolari, quelle atmosfere.
Se poi aggiungiamo tutta la fotografia che ho inspirato a pieni polmoni fino a farmi girare la testa, stavolta davvero non sarei tornata. Forse più di New York, lì mi sembra tutto possibile. Lì l’arte ha il suo peso e il suo valore, riconosciuto, trattato con i guanti. Ti perdi nei quartieri e trovi mercatini di foto vintage nascosti in gallerie liberty, dove può ritrovare foto d’autore, di Walker Evans, Raymond Depardon, datate, foto da set di Truffaut e magari rinunciando a qualche cazzata potresti ritrovarti appese in camera. Con quell’odore di antico, di acidi e carta, di storia che non si vuole dimenticare. E anche gli autori più sconosciuti puoi scovarli in gallerie che scommettono sulla fotografia, o persino esposti nel metro.
Libri d’annata a prezzi scontati nelle librerie migliori e la voglia di provarci ancora, di fare progetti o ripensare ad altri.
Sti cavoli dei commenti da addetti ai lavori frustrati o con la pretesa di voler sempre criticare su tutto.
Ho incontrato Antoine D’Agata, Martin Parr, Paolo Pellegrin, stretta la mano ad Elliott Erwitt, con un autografo che conserverò come un cimelio prezioso. Ho visto foto stampate introvabili o ammirate solo su libri o peggio ancora sul web. Ho sognato. Se non è magia questa, cosa?

PS: incredibile ma per puro caso sono anche capitata davanti al mitico bar dei Deux Moulins di Amélie! E anche lì, piccola lacrimuccia e tanta emozione!

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