Nel mezzo del cammin di questo autunno, ci ritrovammo di nuovo in piena pandemia, semi bloccati in casa.
Non se ne esce ancora, e la fine sembra ancora molto lontana… ammesso che ci sarà mai, boh. Ci sono giorni così negativi che penso che non ne usciremo più, che non torneremo a viaggiare, a lavorare con gli altri, ad abbracciare, stringere mani. Altri giorni, talmente oramai abituati a questa vita di mezzo, che i numeri, i morti e i contagi, scivolano addosso. Eppure, questa ondata sembra più forte e se a marzo mi sembrava un evento così lontano, stavolta sono sempre più le persone che conosco, vicine o più lontane, che si sono imbattute in questo ospite malvagio.
Roma sembra per certi versi ancora un’isola “felice”, le restrizioni ci stanno toccando fino ad un certo punto e siamo ancora ben lontani dalle condizioni folli di marzo, il che onestamente non so se sia un bene. La cosa più snervante è vivere in questa incertezza, di un domani che può cambiare nel corso di poche ore, nel non poter fare programmi neanche a breve termine, e sentirti quasi costretto ad anticipare tutto.
L’unica cosa che al momento mi è di nuovo cambiata, è il lavoro, perché sono di nuovo a casa. Tanto lo immaginavo che sarebbe accaduto ( come penso riaccadrà a marzo…), ero così felice di aver ripreso la mia routine, di lavorare nel mio posto, invece di nuovo a casa a rosicchiare forza e volontà per crearmi qualcosa di nuovo da zero, o quasi.
La domanda che mi ritorna ciclicamente in testa è cosa avrei fatto con il vecchio lavoro se avessi saputo che le cose sarebbero poi andate così… il porsi costantemente sotto una lente, il pensiero di scegliere male, di un futuro sempre più incerto. Per me abituata a programmare sempre tutto e mantenere il controllo, una situazione del genere non è l’ideale e il languore che l’accompagna, rischia di farmi scivolare giù. Difficile mantenere l’equilibrio. Certe giornate non fanno in tempo ad iniziare che sono già finite e in mano non mi ritrovo niente, o almeno così sembra. Altre, quelle in cui riesco ad immergermi più nello studio e meno nel divano, mi tirano su.
Di certo, l’aspetto più bello è il rapporto con la mia Vitto, e il pensiero che al contrario avrei potuto vederla e godermela per poche ore al giorno, mi fa stare meglio. La verità è che mi sento in colpa per questa mia vita lenta, a cui non sono mai stata abituata. Non ho controllori, ho poche e misurate scadenze, posso organizzarmi come voglio, e sono così felice per questo che come sempre non credo di meritarlo.
È davvero troppo bella questa situazione, il lavoro che sono riuscita a ricrearmi, che è un lavoro nonostante sia io la prima a metterlo in discussione, che la paura che questo maledetto virus spazzi via tutto è forte. Perché non ci si può fare nulla. Perché se devi stare chiuso devi stare chiuso. Puoi riventarti mille cose online… ma fino a quando? Fino a quando si può reggere questa corsa contro il tempo prima che tutto vada in malora?
Persino il Natale, quest’anno, non sarà il periodo bello di sempre per me, e se non potrò vedere la mia famiglia, gli amici, sarà davvero triste. Tutto si fa se si deve, ma per favore basta con la retorica che deve andare bene per forza.