Diversi anni fa ho iniziato, ad ogni cambio stagione o umore, a portare gli abiti smessi ai mercatini dell’usato. Non lo faccio tanto per guadagnarci, il più delle volte, vendendo cose che già valgono poco e si svalutano ulteriormente, al massimo ci esce una pizza per due. È che a casa mia di roba ne è sempre girata molta, di beneficienza se ne è sempre fatta parecchia, e pensare che qualcun’altra pensi di portersi fare bella o si senta a suo agio con robe che io non uso più, un po’ mi piace. Ma soprattutto è catartico. È catartico rinunciare, persino a quell’abito o a quella borsa o pantalone e maglietta che anni fa hai scelto con cura oppure hai acquistato per noia o convulsione, e magari non ti donava poi così tanto. Con cui ti sei sentita fica, bella, ma adesso non è più aria.
Ogni busta che fai, ogni valutazione, è un viaggio nella macchina del tempo. Vedi il commesso esaminare i capi, magari riderci su con te, anche se lui e chi verrà dopo di te non saprà mai la storia completa dietro ognuno di essi. Quella camicia che prende o scarta, che tu ricordi persino quando hai acquistato, dove e perché. E per chi. Per un viaggio, una cena, un primo appuntamento. Chi magari te l’ha sfilata. E ci sono cose da cui è bene allontanarsi, ricordi da svendere. Sorridi quando lo fai, perché è come rivedere un vecchio VHS dove stavolta la protagonista sei tu. E loro non sanno perché. Non sanno quanto hai pianto o riso, sei stata felice o triste in quei semplici vestiti. Che a te hanno portato iella o fortuna e che ora è tempo di voltare pagina e far scrivere loro un altro film.
Ed è poi lo stesso motivo per cui fondamentalmente vendi senza riacquistare. Non tanto per l’igiene o la cura degli abiti altrui. È per quello che si portano dietro. Le loro storie, i ricordi. Ed io ne ho già tanti, forse troppi, che non posso, non riesco a prendermi in carico anche le vite degli altri. Anche le migliori.
Sì, tutto ciò è davvero catartico.