Diario ungherese

Eccoci di nuovo qui. Lavoro, ritmi serrati, casa, sveglie, pulizie, spesa. Quando parto, in arrivo o al rientro, guardo i miei compagni di  volo e mi chiedo: chi sono? Cosa fanno? Che lavoro hanno, se sono contenti, appagati, se sono felici di partire o più di tornare. Questi giorni me lo sono chiesta anche quando fotografavo decine di giovanotti ungheresi. Bellissimi e fieri nei loro abiti tradizionali, curati in ogni dettaglio, accessorio. Allegri, bravi e orgogliosi delle loro origini e del compito che hanno scelto. Amo il folklore e ammiro davvero quando giovani, adolescenti e ragazzi si impegnano e dedicano il loro tempo a perpetuare antiche tradizioni. C’era qualcosa di forte in loro, un legame intergenerazionale. Che unisce uomini e donne di tutte le età. Mamme che pettinano bambine, sorelle che si intrecciano i capelli a vicenda, per non parlare di amori che sbocciano tra una danza e l’altra. Li ho guardati tanto e anche un po’ invidiati, tra quelle montagne, quei villaggetti curati ed essenziali, pensando alle nostre vite dove ogni ritardo, ogni stupidagine a lavoro o nella vita diventa troppo spesso una tragedia immane. Siete stressati voi? Avete paura di sbagliare, di dimenticare la coreografia o non tenere il passo? O sapete che sempre qualcuno vi sosterrà?

È sempre bello viaggiare, conoscere posti, persone, cibi e usanze nuove e immaginare altre vite e mondi possibili o apprezzare sempre di più la tua. Sono così felice di avere questa curiosità, sono diversa ogni volta che torno. Più grande.

L’Ungheria è un paese fiero. Le persone sono gentili, anche se riservate. Non è Maramures. I paesini che ho visitato sono comuni paesi del nostro entroterra, con porte chiuse, giardini curati ma pochi bambini che giocano in strada. Sono stata a Salogotarjan, una città che porta fiera il suo retaggio sovietico, una cattedrale di cemento che stona tra le colline windows, ma affascinante proprio per questo contrasto. Distese infinite di binari abbandonati e treni minuscoli per viaggiare nel tempo. Qua e là accampamenti di case di legno e roccia. Come quella di Nicolas, la nostra breve guida che fiera de suo poco inglese ci ha raccontato di sé, del suo rap, del suo laghetto putrido da cui pesca pesci grandi e piccoli. Che ha fatto Waow quando ho estratto l’iphone6 per segnare il suo contatto Facebook. Perché sì siamo in Europa, siamo poveri. Ma mai senza dignità. E wi-fi.

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